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23 maggio, ore 17.58: il giorno del raccoglimento. L’antimafia siamo tutti noi

Il 23 maggio non è e non sarà mai un giorno normale. E’ il giorno del ricordo, il giorno della memoria di una delle stragi più truci della storia d’Italia e che è diventato il giorno simbolo della commemorazione dei caduti per mano della mafia. Premetto: non sono un grande sostenitore delle ricorrenze. A volte hanno il sapore scialbo delle preghiere ripetute meccanicamente e senza sentimento; spesso sono occasioni di vuoto “buonismo” che dura dall’alba al tramonto di un solo giorno all’anno. Ma ricordare è un obbligo, di chi c’era e di chi ci sarà. Proprio per questo è bello vedere sciamare nei cortei (qui raffigurati nelle foto di Maria Lo Meo) gente adulta e ragazzini che hanno saputo solo dai libri o dai racconti dei loro genitori. La cultura della memoria va tramandata alle generazioni successive non come un vuoto dovere ma come un entusiastico manifesto di com’eravamo, di come siamo e di come potremmo essere in questa dannata e meravigliosa terra.

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Sono contento che il Palermo calcio, una delle più popolari istituzioni di questa città, abbia voluto ricordare Giovanni Falcone e tutti gli altri con un bel video in cui il “testimonial” è Andrea Accardi, uno dei pochi giocatori palermitani della truppa che dice cose semplici ed efficaci mentre passeggia in uno dei luoghi simbolo, il Giardino della Memoria. Per la cronaca, il Palermo per la prima volta negli ultimi 16 anni ha un presidente palermitano, Giovanni Giammarva, la cui storia personale è molto legata a quella di Giovanni e Francesca, parenti “acquisiti” oltre che amici, avendo lui sposato la figlia di Maria Falcone, sorella di Giovanni. Lui ha conosciuto e apprezzato Giovanni da molto vicino, di certo non è un caso che la figlia nata tre mesi dopo le stragi abbia avuto imposto il nome di Francesca. Ed è assolutamente comprensibile la sua voglia di silenzio e di lontananza dai riflettori in una ricorrenza come questa. Un atto di serietà.


Chiunque c’era, 26 anni fa, ricorda perfettamente dov’era e cosa faceva quando ha saputo della terribile notizia. Non c’era Facebook, i telefonini erano ancora pochi, internet era più o meno un mistero ma quella notizia viaggiò nell’etere alla velocità della luce. Insieme allo stupore, al dolore, all’orrore, alla mortificazione, al senso di rassegnazione che fortunatamente – solo pochi mesi dopo – si sarebbe trasformato in una straordinaria voglia di riscatto morale che ha prodotto manifestazioni corali di portata commovente, “un movimento di reazione civile prezioso e importante”, come ha detto ieri il capo dello Stato Mattarella alla partenza della nave della legalità.

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 Io, per esempio, ricordo bene dov’ero: ero libero, nonostante fosse un sabato (che di solito per me è sinonimo di lavoro), passeggiavo in centro. Lavoravo come responsabile delle relazioni esterne del Palermo. La squadra era appena partita per Avellino dove avrebbe rimediato il giorno dopo una delle sconfitte più assurde e dolorose della sua storia recente (prologo di una retrocessione in C-1). Quella notizia mi arrivò come uno schiaffo. Non lavoravo per i Tg come mi era successo per tutti gli anni ’80 che mi avevano portato a raccontare centinaia di omicidi, a cominciare da quello di Piersanti Mattarella. Montai sulla Vespa e andai sul luogo della strage a vedere quello che sapete, anche se le televisioni con le loro immagini non sono riuscite fino in fondo a raccontare l’incredibile scena che si è presentata a chi c’era. Ma come ho scritto già l’anno scorso “esserci stato, su quell’autostrada sbriciolata, mi ha insegnato tante cose, probabilmente ha fatto di me un uomo migliore”.

Sono passati 26 anni. Da allora si è fatto tanto a livello di guerra alla mafia grazie alla abnegazione di molti seri magistrati e di uomini delle forze dell’ordine. Ancora però non è tutto. Proprio in questi ultimi giorni le cronache giudiziarie hanno portato alla luce un’altra torbida storia (ovviamente ancora da giudicare nelle sedi opportune) che investe molti “presunti” paladini dell’antimafia, persone che hanno fatto carriera professando l’antimafia parolaia e che non solo avrebbero commesso reati disdicevoli ma che avrebbero il torto ancora più grave di avere infangato l’opera minuziosa di chi la mafia la combatte davvero, magari in silenzio, lontano dai riflettori.

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Oggi sarò, come sempre, in via Notarbartolo. Il mio primo pensiero della mattina sarà quello di passeggiare insieme ai tanti palermitani che avvertono il piacere e il bisogno di respirare un’aria particolare. Insieme ai ragazzi e al loro entusiasmo. L’ultimo dei miei pensieri è sapere chi si alternerà sul palchetto davanti all’albero Falcone con il microfono in mano. Perché fare antimafia non deve essere un privilegio di pochi ma un diritto e un dovere di tutti noi che ogni giorno – e non solo in “questo” giorno – possiamo fare qualcosa in più nel nostro agire quotidiano in direzione della legalità, della giustizia sociale, della solidarietà e del vivere civile.

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2 thoughts on “23 maggio, ore 17.58: il giorno del raccoglimento. L’antimafia siamo tutti noi

  1. Caro Monastra, ero giovane studente in quegli anni, concordo pienamente con le tue parole, no alle ricorrenze vuote si’ alla memoria collettiva e trasformatrice (su questo passaggio pero’ ho maturato un po’ di pessimismo verso i palermitani e i siciliani ma oggi non e’ il caso di approfondire questo aspetto). Giammarva si conferma una brava persona anche in questa occasione
    ABBASSO LA MAFIA E VIVA I SICILIANI LIBERI!

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