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Palermo, la ricetta di Caramanno: “La D si vince con cuore e umiltà”

É stato uno degli artefici della rinascita del Palermo oltre trent’anni fa: ora Pino Caramanno racconta le proprie impressioni e le sensazioni della nuova ripartenza dei colori rosanero, tracciando in un’intervista concessa al Corriere dello Sport, quelle che dovranno essere le linee guida del percorso della squadra allenata da Pergolizzi.

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Intervistato da Paolo Vannini, Caramanno non nasconde la voglia di condividere le proprie idee con la nuova società di Mirri: “Gli farò conoscere il mio progetto che si addice alla perfezione al suo Palermo che rinasce, dato che qui non si può contare su mecenati, la società deve cercare la forza al proprio interno, lavorando intensamente sul settore giovanile. E poi un ambiente coeso come quello che si sta riformando a Palermo ti spinge in alto. I ragazzi di Pergolizzi dovranno fare proprio questo sentimento della città”.


E col 1987 il tecnico nota diverse analogie: “A che allora bisognava riprendersi dopo una scomparsa. Si lavorò moltissimo sul gruppo e sulle motivazioni. Scelsi i giocatori uno per uno, puntai anch’io sui palermitani che avevano il fuoco dentro. Ero abbonato a 7-8 giornali diversi e di varie regioni, studiavo le caratteristiche dei giocatori di ogni categoria. Se le cronache riportavano giudizi positivi univoci, che arrivavano da posti diversi, allora prendevo nota. E guardavo molto alla continuità del calciatore”.

Poi uno sguardo al Palermo che ha iniziato l’avventura in Serie D (ancora una volta con un gol di palermitano, dopo quello di Santino Nuccio): “Ho visto il Palermo nella serata al Barbera e devo dire che la squadra non mi è dispiaciuta. Ho notato buoni movimenti collettivi, un dinamismo ed una sveltezza esecutiva che mi fa essere ottimista. Pergolizzi? Non lo conoscevo personalmente, che volete, la differenza d’età… E’ stato lui a presentarsi con molta educazione. Gli auguro tutto il bene possibile. La D si vince con umiltà. Il mio Palermo di allora si basò su queste convinzioni. Credevamo in un progetto. Se in campo non hai semidei, allora devi avere l’idea di gioco che ti guida”.

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