Brugman: “Ecco la mia storia, sono per metà italiano”
Gaston Brugman, centrocampista del Palermo, ha raccontato la sua storia dagli esordi fino all’approdo in rosa al Corriere dello Sport: “Avevo quindici anni quando i genitori mi accompagnarono in Italia lasciando l’Uruguay e le attività. I genitori non mi hanno mai abbandonato. Andres, papà, gestiva un negozio di informativa, poi un albergo venduto per seguirmi ad Empoli. Ora con Ana, la mamma, è tornato a Rosario e si occupa di una fabbrica di sacchetti riciclabili. Mia sorella, Julieta, ventuno anni, vive a Roma e studia architettura; Marcela, la fidanzata, diventerà avvocato. Io sto finendo il liceo classico, in Uruguay. Mi mancano solo due esami, li darò a fine campionato. Ho il passaporto italiano, sono mezzo e mezzo. Nazionale? Francamente non so se posso giocare per l’Italia, il dubbio però non esiste, rispondo come Dybala: mi sento uruguaiano. Anch’io sono cresciuto e abito a Mondello con Marcela. In Uruguay lei vive in un paesino vicino al mio. Ci frequentavamo sin da bambini, un amore tenero sbocciato quando ci siamo rivisti a Montevideo, dove lei studiava. Vicenda dolce e tormentata. Tornavo dall’Italia, un mese e ripartivo. Il tempo di stringere i rapporti e bisognava ricominciare da capo. Così abbiamo deciso di stare insieme a Pescara un paio di settimane per capire se funzionava. Sono passati tre anni e siamo più innamorati che mai”. Brugman s’è poi soffermato sulla passione per il calcio in famiglia: “Papà Andres ama gli sport, ma non aveva il fisico per diventare famoso. Nonno Che Che era una mezza punta di qualità, ma al calcio ha preferito la nonna e restare a Rosario. Papà è malato di partite, guarda qualunque schifezza. A casa siamo tifosi del Peñarol, tranne mamma che ha preso la sbandata per il Nacional dai suoi genitori. Io vivevo abbracciato al pallone. Papà ha filmato ogni momento di questa passione. Il giorno in cui mi regalò le prime scarpe da calcio ero emozionato fino alle lacrime, immagini che mi fanno morire dalle risate”. E il sogno, da bambino, era di giocare nel Peñarol: “Avevano organizzato uno stage a Rosario, mi sono iscritto ed eravamo più di quattrocento bambini. Ne hanno scelti ventidue, poi tre. E c’era il mio nome. Avevo dodici anni. Decisero di prendermi, disputai un torneo da mezzala vincendo la classifica dei cannonieri”.