Lazio-Inter, il 5 maggio, lo scudetto perso. Il racconto di Francesco Massaro
(gm) Francesco Massaro è un bravissimo cronista legato da sempre al Giornale di Sicilia. Arguto, estroso, ironico e autoironico, dissacrante quanto basta ma mai sopra le righe. La sua passione per l’Inter è celebre come le arancine del suo celebre “Bar Massaro”, il “suo” 5 maggio con l’Inter è celebre ormai come quello di Napoleone. Grazie per avere dato lustro al nostro giornale con la sua firma, grazie per avere scritto questo bellissimo articolo.
Sono poche le date che ricordo senza indugio, tre al massimo. Il giorno del matrimonio, quello della morte di mio padre e il 5 maggio del 2002. Il 5 maggio 2002 è per ogni interista lo spartiacque fra la vita di prima e quella di dopo, una sorta di punto di non ritorno, la linea di demarcazione fra quello che eri e quello che saresti diventato. Ma soprattutto il 5 maggio è stato, è e per sempre sarà, una formidabile lezione di vita, un dolore a cui col tempo ti sei pure affezionato perché ti ha insegnato la cautela, la prudenza, il basso profilo, costringendoti ad abbandonare quella che i greci chiamavano hybris, l’imperdonabile tracotanza. Alla resa dei conti, una sorta di benedizione.
LAZIO – INTER, LE POSSIBILI COMBINAZIONI
Il 5 maggio di sedici anni fa l’Inter aveva praticamente vinto lo scudetto dopo secoli di digiuno. L’allenatore di quella squadra formidabile era un argentino dallo sguardo triste, Hector Cuper detto l’hombre vertical, forse qualcuno lo ricorderà perché all’uscita del tunnel caricava i ragazzi battendogli la mano sul cuore. Quel giorno, ultima giornata di campionato, giocavamo a Roma contro la Lazio, esattamente come domenica prossima. Ultima di campionato a maggio, stavolta non ci giochiamo lo scudetto ma l’accesso alla Champions. O noi o loro, dentro o fuori.
La differenza fra ieri e oggi è che allora la Lazio non aveva più niente da chiedere e l’Inter aveva invece la necessità di vincere per mantenere intatto il vantaggio sulla Juve. Una pura formalità, vista la differenza di motivazioni e di obiettivi.
Tifoserie gemellate, i laziali che entravano allo stadio con le sciarpe dell’Inter e in qualche caso cedevano il biglietto ai cugini in affannosa ricerca. Il pomeriggio romano era caldo e bellissimo e ancora oggi gli amici mi rimproverano l’eccesso di sicurezza che mi spinse a dire al tassista che correva verso l’Olimpico “ci porti a vincere lo scudetto”. Ero con Marco e Roberto, compagni di tifo e di trasferte nerazzurre. Quella frase me la porterò sulla tomba, lo so, finirà che ci faccio un epitaffio magari riveduto e corretto, “voleva vincere lo scudetto, dovette accontentarsi del triplete”. Ma non divaghiamo.
Non voglio ricordare quei 90 minuti, dirò solo che l’Inter perse 4-2, la Juve vinse senza manco giocare nel suo feudo di Udine e si prese lo scudetto. Non mi dilungherò sulle lacrime di Ronaldo, sulla faccia di Vieri, sul degno compare di Nedved che giocava con la Lazio e nemmeno sulla cappellata mortale di Vratislav Gresko, un onesto difensore che la Storia avrebbe additato come unico colpevole e che invece a conti fatti fu il meno colpevole di tutti.
Ricorderò per sempre, e per fortuna oggi ci rido su, il ritorno a piedi dallo stadio al centro, io e i miei compagni di sventura senza dirci una parola per ore perché in fondo niente c’era da dire, se non inutili blabla che avrebbero reso ancor più insopportabile quel dolore. Doveva essere una vacanza di tre giorni, tornai il giorno dopo col primo aereo perché un minuto in più passato a passeggiare a Roma mi avrebbe provocato lo stesso effetto della ex che vedi con un altro dopo che ti ha lasciato.
Vi dirò che sto meditando se andare domenica a Roma, vado o non vado, sfoglio la margherita senza decidere. Ci andrei per chiudere i conti, anche se i conti forse non si chiudono mai. Lazio-Inter all’ultimo respiro come allora, maggio come allora, deciderò alla fine come al solito e se lo farò dirò al tassista solo di portarmi allo stadio senza sospirare una parola di più. Le lezioni nella vita i cretini non le imparano mai, e ne conosco assai, io modestamente sì.
LE PAGELLE IRONICHE DI PALERMO – CESENA
foto: Laziowiki
Tifoserie gemellate. “Un solo grido, un solo allarme…” Ci fu un periodo in cui romanisti e laziali si ricompattavano, anche se per un solo giorno, anzi solo per il tempo di una partita. Quando all’Olimpico scendeva una milanese. Roma e Lazio, “La Capitale”, Milan e Inter, “La Succursale”. Adesso non più, so di questo gemellaggio tra Inter e Lazio, che ormai dura da un bel po’. Per la finale di Coppa Italia del Palermo, furono proprio i laziali a organizzare la coreografia della curva interista, secondo uno schema ben preciso. Qualcosa di davvero maestoso, apparizione improvvisa, perfettamente messa in scena. A lasciare di stucco i tifosi rosanero, più numerosi, anch’essi compatti, ma meno preparati e meno abituati a sfide di tale importanza nazionale. In ogni caso spero che vinca l’Inter. Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Domenghini, Suárez, Corso. Formazione che so a memoria, grazie alla scena molto divertente di un film, visto tante volte. Regista romano, nato per caso a Brunico.