Palermo, Bari e l’incubo del fallimento: analogie e differenze
Un incontro che ha voluto il destino, con un tempismo quasi spaventoso. Bari e Palermo condividono la vetta della classifica di Serie B e ben presto condivideranno un comune – e non invidiabile – trascorso con il Tribunale fallimentare. La sfida del “San Nicola” arriverà infatti tre giorni dopo la prima udienza sull’istanza di fallimento che la Procura di Palermo ha presentato nei confronti nel club di Viale del Fante. Un terremoto che ha colpito il mondo rosanero, un marasma che le rassicurazioni di Giammarva e Zamparini non sono riusciti a placare.
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Il Palermo rischia di arrivare al big match di domenica con l’incudine del fallimento sul capo, con un’inevitabile influenza sulle prestazioni in campo dei giocatori. Una situazione che il Bari conosce bene e che superò (non senza ferite) nel 2014: il 10 marzo di quell’anno fu dichiarato fallito dal Tribunale fallimentare del capoluogo pugliese. Una sorta di agonia per i “galletti”, iniziata nel 2011 quando la famiglia Matarrese decise di lasciare la presidenza (dopo 33 anni, al vertice dal 1977) con 30/35 milioni di debiti non sanati. Una crisi economica non indifferente, che portò i creditori a pignorare tutto: dai conti correnti, fino ai trofei e ai cartellini dei giocatori. Una società senza un soldo, che cominciò ad organizzare le trasferte con collette di dirigenti e imprenditori locali. I debiti che furono accumulati soprattutto verso l’erario, fornitori vari e il Comune (in merito alla manutenzione ordinaria e straordinaria dello stadio “San Nicola”).
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Nel 2014 la situazione esplose e la presidenza optò per il fallimento pilotato. Rendendosi conto di non poter saldare i debiti, la società barese decise di portare i libri in Tribunale e presentare lei stessa un’istanza di fallimento. Una mossa che avrebbe poi permesso, alla nuova società, di pagare solamente i debiti sportivi (verso giocatori e altre società) e non tasse e debiti verso fornitori o altri creditori. Il Tribunale, dichiarato il fallimento del club, nominò i curatori fallimentari e inizio così l’iter che portò “la Bari” ad essere messa all’asta.
Il fallimento, paradossalmente, portò con sé una ventata di entusiasmo incredibile: i tifosi baresi riempirono lo stadio ad ogni gara (anche più di 30mila persone per le gare casalinghe) e sui social si scatenò una catena di solidarietà in cerca di nuovi acquirenti, anche con i giocatori stessi coinvolti. Alla terza tornata dell’asta, fu l’ex arbitro Paparesta ad aver la meglio: il Bari fu acquistato per 4.8 milioni più il debito sportivo da risanare, di circa 3 milioni (il nome cambiò da AS Bari a FC Bari 1908). Il Bari mantenne così titolo sportivo e – cosa più importante – la categoria.
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Paparesta poi lasciò la presidenza nell’estate dello scorso anno, è Cosmo Giancaspro l’attuale numero uno. Adesso il Bari, la cui panchina è stata affidata a Fabio Grosso, gioca per la Serie A e progetta anche un intervento massiccio di riqualificazione dello stadio. “Progetto”, parola per adesso sconosciuta al Palermo, con il fiato sospeso in attesa di novità sul futuro che sembra più oscuro che mai. I debiti – fino al 2016 – sono di 102 milioni, con crediti che ammontano a 87 milioni, compresi i 40 della cessione del marchio ad Alyssa che ha generato una plusvalenza “sospetta” e che è proprio l’operazione sotto la lente di ingrandimento della Procura e degli investigatori. Un buco nei bilanci c’è o non c’è?
La posizione del Palermo è chiara: non c’è nessuna operazione fittizia, tutto è regolare. Prevedibile dunque che ci sarà fino in fondo un muro contro muro: o il Palermo dimostra di aver operato correttamente o sarà fallimento. E a quel punto bisognerà sperare in qualche benefattore, che salvi titolo sportivo e la categoria, che sia Serie A o ancora Serie B. Intanto, a differenza di quanto successo al Bari, l’ambiente è spaccato e in totale contrasto con la società. Appare utopistico immaginare un “Barbera” pieno anche dopo un fallimento ufficializzato.
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Ancora una volta mi trovo a dover commentare una vostra affermazione che sembra disconoscere la realtà: ” l’ambiente è spaccato e in totale contrasto con la società. Appare utopistico immaginare un “Barbera” pieno anche dopo un fallimento ufficializzato” … é esattamente l’opposto e proprio voi stessi contraddite su due affermazioni! Nessuna utopia: se ci sarà sentenza di fallimento, Zamparini uscirà fuori e già noi Tifosi abbiamo deciso di rientrare in massa al Barbera.
Concordo su tutto.
Sono mesi che ripeto che a nessun compratore conviene prendere il Palermo ed accollarsi i debiti creati da ZAMPARINI regalando soldi ai suoi amici procuratori.