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Palermo e la distanza da Manchester: quando ‘coesione’ fa rima con disillusione

Diciamo la verità: tutti noi c’eravamo illusi che l’approdo del CFG avrebbe inaugurato un periodo di “vacche grasse” che in fondo, in oltre 120 anni di storia, il Palermo ha vissuto solo nella prima parte dell’era Zamparini. E invece oggi il popolo rosanero, cui quelle vacche appaiono un po’ smunte, critica sempre più apertamente quell’albionico distacco che da oltre due anni sembra estendere la distanza, già ragguardevole, tra Manchester e Palermo.

Non devo spiegare io a esperti manager quale differenza sussista tra un semplice “customer” e un autentico “stakeholder”. Intendiamoci, non che ai tempi di Zamparini i tifosi contassero più del due di coppe quando la briscola è spade; tuttavia, al netto dei repentini cambi di rotta e della lunga fase di disimpegno, c’era allora la sensazione che durante la burrasca l’ufficiale in comando quanto meno condividesse con la ciurma preoccupazioni e incazzature (like they say in the UK).

E così nei bar, sui social e nel panorama di mezzi di informazione sempre più asfittici, è partito il fuoco di fila delle critiche e sembra essersi innescato un circolo vizioso di sfiducia e disillusione che qualcuno dovrebbe tentare di rompere richiamando alle proprie responsabilità chi, bilancio alla mano, ha reso meno di quanto è costato.


Gli argomenti sono noti: gli errori in sede di mercato imputabili solo parzialmente ai d.s. locali, l’ostinazione nel mantenere un modulo di gioco che con l’organico disponibile in tre anni non ha mai dato la sensazione che il Palermo fosse realmente competitivo, la gestione del “caso Brunori”, il silenzio assordante persino sugli infortuni di giocatori considerati fondamentali. Come Lucioni, affetto da un cronico dolore all’anca che non gli impedisce di lasciare Torretta e iniziare trattative con il Cosenza.

Sorprende la schizofrenia di una società che, da una parte, si apre all’esterno cooptando Dua Lipa e Jason Momoa o presentando le nuove maglie tra i grattacieli di Manhattan e, dall’altra, al di là della mera routine giornaliera, si rivolge al suo pubblico fidelizzato (e pagante) esclusivamente attraverso il tradizionale discorso di fine anno a rete unica dell’amministratore delegato, reiterazione autoprodotta del “si faccia una domanda e si dia una risposta” del laconico Marzullo.

E se dopo “l’appartenenza”, concetto che sposo in quanto sottende un legame indissolubile, il nuovo mantra del Palermo è “la coesione”, ci sarebbe da porre al signor Gardini un’undicesima domanda. Semplice e diretta: “Ma, esattamente, coesi con chi?”

Coesi con chi dà la sensazione di potere e non volere? O con chi, pur disponendo di una struttura organizzativa e di scouting ad estensione planetaria, non ha portato a Palermo (a parte forse il portiere) un solo giovane campione cui preconizzare un futuro radioso nella squadra che verrà? Basti ricordare che gli unici giocatori del nuovo Palermo che oggi giocano in Serie A (Lucca, Felici e Sala) furono presi da Castagnini quando c’era meno denaro ma forse più passione e interesse, come dimostrano le profetiche dichiarazioni di Baldini nella conferenza stampa post-dimissioni.

Coesi con chi cela a noi tifosi scomode realtà di spogliatoio che confermano le gravi carenze di programmazione nell’allestimento dell’organico? Manca di coesione chi concorda con Foschi, colui che per tentare la scalata alla Serie A prese campioni del calibro di Zauli, Asta, Toni, Corini e Grosso, quando dichiara che “il CFG non può tenere il Palermo come una società satellite”?

La coesione prevede come requisito essenziale la reciprocità e se l’unica coesione attuale ha il sapore amaro della disillusione forse qualche domanda dovrebbero porsela. A Manchester, sempre che guardino quaggiù, più che in viale del Fante. Domande vere e non le annuali dieci “marzullate”.

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7 thoughts on “Palermo e la distanza da Manchester: quando ‘coesione’ fa rima con disillusione

  1. Tutto assolutamente corretto e ben esposto.
    Unico appunto: oltre a Desplanches anche Gomes. Per il resto un’interminabile serie di delusioni.

  2. D’accordissimo con l’articolo!
    L’era dell’appartenenza è finita il giorno dopo che si è insidiato il City Football Group.
    Nessuna considerazione e rispetto per i tifosi.
    Nessuna volontà di costruire una squadra competitiva per andare in A.
    Noi tifosi abbiamo visto solo imprenditoria, pubblicità e marketing.
    Poi sienzi assoluti… e freddo glaciale.
    È stata devastata la passione sportiva e per la squadra.
    Chissà se questo è succesdo pure per i giocatori!?

  3. Bene, prendiamo atto dello sfogo dell’autore di questo articolo. Ma da questa testata vorremmo avere più informazioni su ciò che accade all’interno della squadra, soprattutto dopo l’inaspettato addio di Lucioni.

  4. Lo sottolineavo giorni fa: l’attuale gruppo di giocatori, pagato fior di milioni, non contiene giovani sui quali poter contare ciecamente per il futuro . E considerato che sono passati tre anni , i milioni investiti e , cosa non da poco, il bacino infinito dal quale il City può attingere, credo non sia un fattore secondario . Tutt’altro.

  5. Sulla gestione piatta , sulla mancanza di un vero legame tra città e proprietà credo che ci sia poco da fare . Mi aspettavo molto di più da Mirri da questo punto di vista ma vedo che incide poco e nulla . Evidentemente non può fare di più o magari non vuole, non ha le capacità e la personalità.

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