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Mille candeline in Serie A: l’era dorata del Palermo è ancora viva

Che strano compleanno, quello che festeggerà il Palermo lunedì 17 contro il Torino. Un traguardo, più che un compleanno, perché difficilmente si vedranno feste e tributi per la millesima partita in Serie A della storia rosanero. Una cifra enorme, che fa ricordare a tutti quanto la massima serie non sia stata solo una prerogativa della “nostra” generazione, ma che al contempo lascia riflettere: se 426 di queste mille partite sono arrivate tutte dal 2004 in poi, c’è poco da dire su quale sia stato il periodo migliore della storia di questo club ultracentenario.

Qualcuno leggerà in queste righe un peana a quella persona, citando le parole di quell’altra persona che la storia del Palermo l’ha scritta al suo pari, a suon di gol e magie. In realtà è solo un tributo ad una squadra che ad oggi rappresenta una delle poche eccellenze di una città che pian piano va rialzandosi da anni bui e tormentati. Un tributo che probabilmente nessuno farà al momento di tagliare il traguardo: vuoi perché il lunedì sera si pensa al lavoro o alla scuola dell’indomani mattina, vuoi perché il “Barbera” s’è progressivamente svuotato nell’ultimo lustro, è inutile sperare in uno stadio pieno per un anonimo Palermo-Torino. Almeno, anonimo se non fosse che sia la millesima partita in Serie A dei rosa.

Certo, nel 1932 nessuno avrebbe mai pensato a tagliare un tale traguardo. Anzi, probabilmente nessuno avrebbe pensato ad una così lunga vita dell’ancora Palermo Football Club. Le trasferte di Vercelli e Roma battezzarono la maglia rosanero in Serie A, che trovò casa nel neonato Littorio, stadio che più in là chiamammo tutti Favorita e poi dedicammo a Renzo Barbera. L’ultimo palermitano ad aver dato la Serie A alla sua città, quel campionato del ’72/’73 che rimarrà sempre quello dell’illusione. Quello di Torino, Napoli Fiorentina stese nel girone d’andata e di un girone di ritorno senza vittorie, con la condanna alla retrocessione e a trentuno anni di oblio, inframezzati da altre delusioni.


Il Palermo delle due finali di Coppa Italia, quello fallito e rinato dalle proprie ceneri, quello dei picciotti che arrivò solo a sfiorare il ritorno nel gotha del calcio italiano. Chi ha vissuto e sostenuto quelle squadre ha avuto negli occhi o nei ricordi dei racconti paterni le imprese del Palermo in Serie A: i due successi di fila con l’Inter tra il ’49 e il ’50, le quattro reti rifilate alla Juventus a casa sua nel ’62 e la vittoria col Milan nel ’60. Ricordi che chi ha visto dal vivo Palermo-Siena nel 2004 non poteva avere, per forza di cose. E anche adesso, a leggerli, è evidente che dietro ci siano anni di calcio “tramandato”. Non vissuto.

Che vi piaccia o meno, delle mille partite giocate in Serie A dal Palermo ci ricordiamo a malapena le ultime 400. Mica poche, eh. Ce ne vuole, non solo a far giocare quattrocento partite in massima serie al Palermo, ma a fargli giocare certe partite. Espugnare l’Olimpico con una girata al volo di Zauli, vedere Buffon soccombere dinanzi alla palombella di Brienza, frenare il Milan a San Siro una settimana prima della finale di Champions League, tramortire l’Inter con una punizione di Corini e con l’illusione di aver trovato in Makinwa un nuovo fenomeno, vincere in casa del Chievo e trovarsi primi in classifica, da soli. E non finisce qui: perché Amauri che diventa un Fenomeno a Firenze, i derby col Catania dove una volta se ne davano cinque e un’altra se ne prendevano quattro, la Juventus battuta per cinque volte in sei partite consecutive, le staffilate di PastoreIlicic con la Fiorentina, San Siro e il Milan che si inchinano davanti a Fabrizio Miccoli prima e a Paulo Dybala poi… questo è il Palermo in Serie A che abbiamo vissuto e che continuiamo a vivere. Quello che ogni domenica (o sabato, o lunedì), per novanta minuti, vi fa mettere da parte tutto. Ed è un Palermo che resiste, ancora oggi. Perché l’epoca d’oro del Palermo non è ancora finita.

Altre mille di queste partite, in Serie A s’intende.

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