Quando l’urlo del gol resta in… gola: l’invasione del Var non piace ai tifosi
Qualcuno vede nel gioco del calcio una metafora del sesso. Pensandoci bene, l’assonanza tra i due sport preferiti da noi maschietti (anche se neppure le femminucce babbìano) è espressa anche dall’uso nella terminologia calcistica di allusioni neppure troppo velate. Il grande Gianni Brera identificava come “femmina” una squadra, come la tipica Italia del catenaccio, che subiva i tentativi di conquista della propria porta da parte degli avversari. Dall’altro versante, una squadra protesa all’attacco “prova a sfondare con delle percussioni centrali” o con “azioni ficcanti” e quando fallisce nel suo intento “la porta resta inviolata”. Il fine ultimo del gioco, perfettamente espresso dal termine “goal” che vuol dire appunto “scopo”, è dunque quello di penetrare la zona più intima e meglio difesa dell’avversario generando in chi riesce nell’intento uno stato di gioia e di estasi che simula l’orgasmo.
Mi perdonerete il preambolo vagamente pruriginoso, ma mi serve per introdurre l’argomento delle ricorrenti storture dell’applicazione del VAR cui abbiamo recentemente assistito sia sul nostro campo del Barbera che su quelli raffrescati del Qatar. Intendiamoci, nessuno può opporsi all’uso della tecnologia nel calcio; sarebbe come rifiutarsi di seguire le partite in 4K perché da ragazzini ci siamo abituati alle TV in bianco e nero. Ma credo che un uso diverso della tecnologia potrebbe correggere anomalie evidenti, a partire dall’esultanza “sub-judice” dopo un gol che sembra buono e che, spesso dopo alcuni minuti, è annullato per fuorigioco millimetrici (e talora evidentemente passivi). E’ accaduto in questi giorni sul gol di Bettella e su quello del francese Griezmann, oltretutto annullato dopo il triplice fischio. Tornando alla metafora di cui all’incipit, come ha scritto Aldo Grasso sul Corriere della Sera, un vero e proprio “gol interruptus”.
Non è possibile mantenere regolarmente in sospeso la gioia del gol, vera essenza del calcio. Non è giusto regalare “rigorini” per falli risibili o tocchi di mano involontari. Non è equilibrato costringere il portiere all’immobilismo figlio del timore di toccare l’avversario in uscita, introducendo per di più una soggettività di giudizio di cui sono stati esempi le decisioni arbitrali sul rigore negato a Brunori contro il Venezia e quello concesso all’Argentina e fallito da Messi contro la Polonia. Non sopporto più la scena dei giocatori che mimano la forma di uno schermo per richiedere la on-field-review ad ogni piè sospinto. Se lo scopo del VAR è quello di fare giustizia, temo che in molti casi l’effetto sia stato opposto.
Per ovviare all’inconveniente, si potrebbe copiare da altri sport, come ad esempio la pallavolo dove il VAR è a richiesta della squadra con due possibilità per set che vengono “scalate” se il “video-challenge” non ha avuto successo. Inoltre, si dovrebbe restituire all’arbitro la responsabilità di valutare senza “interventi esterni” l’entità del contatto fisico in area evitando ciò che accade con una frequenza scandalosamente alta: ogni chiamata al VAR equivale quasi alla concessione di un rigore. E a che serve il giudice di linea se si lascia proseguire l’azione persino in presenza di fuorigioco palesi che vengono certificati solo quando confermati dall’occhio elettronico?
Non ho la pretesa di influenzare con le mie argomentazioni da semplice tifoso decisioni prese dagli stessi tromboni che per denaro hanno potuto concepire lo scempio di questi Mondiali autunnali in un Paese privo di cultura e tradizioni calcistiche e di rispetto per i diritti umani e le tematiche ambientali. Dico solo che a 65 anni suonati questo calcio mi piace sempre meno. E non è una questione di ormoni.
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Non dobbiamo dimenticare quanto ci siamo rosi il fegato senza tecnologia. Tendiamo a dimenticare tutto. Tanto per dire: il fallo di Arcoleo su Bulgarelli nella finale di Palerno-Bologna del ’74, o, (per i romanisti) il famoso gol di Turone contro la juve nell’81 sarebbero stati suscettibili di eventuale ribaltamento del verdetto se ci fosse stato il VAR. Oggi, piangiamo ancora, però, per quegli episodi mai metabolizzati. Questo per dire che la sindrome da “gol interruptus” in nome della certezza del diritto (alias la corretta applicazione del regolamento del calcio) è tollerabile, un sacrificio necessario, a patto che questi signori arbitri e gli organismi che li gestiscono si rigenerino dalle fondamenta. Perchè il problema è quello li. Da sempre. Personalmente non ho mai amato gli arbitri, in nessuna epoca. La stragrande maggioranza di essi sono scarsi, presuntuosi, arroganti e di calcio non ne capiscono un accidenti, non avendo, la gran parte di essi, mai giocato nemmeno a calcetto. Oggi, col VAR, questa connotazione è ancor più evidente. Siamo al paradosso che rivedendo più volte la stessa azione, perseverano a sbagliare. In questo senso, il rigore revocato a seguito del fallo di Joronen su Brunori è un chiaro esempio. Oggi l’ambito decisionale che intercorre tra la meccanica applicazione del regolamento e l’interpretazione del fallo è sempre più nebuloso e cervellotico. La situazione è dunque peggiorata. Anche per colpa dei calciatori. Ma non è colpa della tecnologia. Ho sempre sperato di vedere ex giocatori professionisti (non famosissimi) fare gli arbitri, con carriere corte e ricambi generazionali frequentissimi. Ma evidentemente non è cosi che deve andare. Il mondo degli arbitri mi sembra invece da sempre improntato all’imposizione della loro autorevolezza come prerequisito che supera lo svolgimento stesso della partita. Ne discende una mancanza di serenità che non porta niente di buono.
Concordo con il commento. La questione non è: VAR sì/VAR no; piuttosto: VAR come e VAR quando. Riguardo alla prima finale di Coppa Italia, l’uso del VAR avrebbe indubbiamente modificato l’esito della partita in quanto avrebbe punito il primo dei tanti furti che subimmo da Gonella e dal Bologna sul fallo laterale sotto la Tribuna Monte Mario da cui nacque l’azione del non-rigore di Arcoleo su Bulgarelli che era nostro e fu battuto dal Bologna. Al contrario, vista la frequenza con cui contatti minimi vengono puniti dal VAR, con i parametri attuali il rigore sarebbe stato dato lo stesso, ma forse molti dei rigori decisivi (e non solo quello sbagliato da Bulgarelli e fatto ribattere da Gonella) sarebbero stati ribattuti. Grazie per il commento.
E’ sempre un piacere…
‘Parlar e lagrimar vedrai insieme’. Il calcio, per un tifoso del (nuovo, anzi antico) Palermo. Il cinema, guardando un film di Pieraccioni. Il Natale, intrappolati nel traffico, respirando gas di scarico. Ps Ieri ho rivisto la partita contro il Venezia, per cercare di capirne qualcosa di più. Ma non c’è proprio niente da capire.
Secondo me, il Var avrebbe confermato il rigore fischiato ad Arcoleo. L’entrata chiaramente scomposta. C’è un testimone oculare a due passi, ha la maglia n° 3 del Palermo, nome e cognome Aldo Cerantola, che invece di protestare con l’arbitro, reagisce mandando immediatamente a quel paese Arcoleo, reo di un fallo del tutto inutile (v . immagini ancora presenti sul web). Quanto al fallo laterale invertito, penso bensì che con un Biffi in campo, la partita sarebbe finita lì, tra spintoni e mani sul collo. Con quello stesso Biffi in leggero anticipo negli spogliatoi, ma poi direttamente nella Hall of Fame, del Museo Rosanero.